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Vintage Skiing: alle origini dello sci!

Gli anni gloriosi dello sci: quando ancora erano solo due rudimentali ‘assi’ di legno e precedevano l’arrivo della fibra di vetro prima e di carbonio e kevlar poi. Ma anche lo stile non era da meno: maglioni in cachemere e pantaloni di lana spessa  ma dal taglio impeccabile sostenuti da cinture in pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Book Box

by Dario Bragaglia

February 21, 2021

Chissà se si conoscevano, almeno di fama, Ray Atkeson e Carlo Mollino? Mi è nata questa curiosità sfogliando le immagini del libro, Vintage Skiing, pubblicato da Familius (una collana della casa editrice americana Workman) dedicato allo sci d’antan degli anni che vanno dai Quaranta ai Sessanta del Novecento. Me lo sono chiesto perché i due personaggi sono pressoché contemporanei, nati rispettivamente nel 1907, l’americano, nel 1905 l’italiano. Due personalità professionalmente e forse anche umanamente molto diverse una dall’altra. Poliedrico ed eclettico il torinese Mollino, ma anche “un incorreggibile ragazzaccio, scontroso, spesso addirittura incomunicabile” secondo il ritratto che ne fece Bruno Zevi.

Le prime acrobazie sulla neve di sciatori già esperti che si arrampicavano sui pendii con pelli di foca.

Comunque un architetto fra i più celebrati (post mortem) del Novecento italiano, insegnante al Politecnico di Torino, pilota di auto da corsa e di aerei e anche, e non marginalmente, fotografo. Celebri i suoi ritratti di donne, i nudi, i fotomontaggi e le foto dedicate allo sci. Immagini, queste ultime, numerosissime; quasi tutte scattate per illustrare un libro che ebbe una lunga gestazione, ma venne infine pubblicato nel 1950, Introduzione al discesismo, ponderoso manuale di oltre 300 pagine (ripubblicato da Electa nel 2009, con una introduzione di Mario Cotelli).

La copertina del libro Vintage Skiing raccoglie foto in bianco e nero di Atkeson, fotografo americano considerato uno dei più grandi maestri nell’immortalare gli esordi dello sci.

 

 

 

Tutta dedicata alla fotografia, invece, la vita professionale, di Ray Atkeson che con la sua opera fece conoscere ad un pubblico più vasto le bellezze dell’estremo nord-ovest americano, in particolare dell’Oregon. Il New York Times arrivò ad incoronarlo come “the dean of Northwest nature photography.”

Ma comparando le foto dei due fotografi si nota spesso la stessa cifra stilistica: l’uso sapiente del bianco e nero, lo studio attento della composizione, il gioco calibrato delle luci e delle ombre sulla neve. Un taglio molto classico, una lettura dei paesaggi certamente non estranea alla lezione di Ansel Adams.

Atkeson è stato un pioniere e un maestro della fotografia di paesaggio invernale e delle prime attività sportive di massa sulla neve nel periodo fra gli anni ’30 e ’60. Fu un instancabile appassionato delle solitarie bellezze invernali dell’Oregon (e non solo) che immortalava con la sua ingombrante attrezzatura da grande formato. Il suo archivio, che dopo la sua morte è stato donato dagli eredi all’Università dell’Oregon, conta ben 250 mila scatti fra negativi in bianco e nero e diapositive a colori.

Lo sci si apriva anche alle donne dallo spirito temerario e sportivo.

Quella pubblicata da Familius non è che una piccola, ma significativa selezione del lavoro in bianco e nero. Il titolo e sottotitolo del volume indicano chiaramente qual è stato l’intento dei curatori: Vintage skiing: nostalgic images from the golden age of skiing. Non ci sono didascalie che indichino esattamente i luoghi, ma le immagini sono intervallate da citazioni anonime o di personaggi famosi (una è di Lindsey Vonn) che suggeriscono lo spirito con cui “leggere” gli scatti di Atkeson.

 

La perfetta simmetria delle impronte a spina di pesce lasciate lungo una pista da un pioniere dello sci non sfugge at Atkeson, l’esteta americano della neve e dello sci. Oggi tornato d’attualità grazie a un libro che celebra le sue immagini.

Che richiamano da un lato la bellezza assoluta di certi ambienti naturali, il piacere e il privilegio di poter essere lo sciatore che disegna la prima traccia su un pendio di neve polverosa, la sensazione di libertà regalata dai fuori pista, il poter disegnare un itinerario lontano dagli impianti di risalita. Temi che in questi inverni di pandemia e di impianti chiusi sono tornati prepotentemente d’attualità. E dall’altro documenta l’arrivo del turismo di massa sulle montagne innevate degli Stati Uniti. Ma è ancora un turismo con un tratto di eleganza e di charme che ci fa guardare, appunto, con un piccolo sussulto di nostalgia a quegli anni dorati.