NG Style
By Dario Bragaglia
Turin, November 4, 2020
Tutti hanno, ‘justement’, celebrato Sean Connery come il miglior (e certamente il più esaltante, ndr.) interprete dell’agente segreto 007, al servizio di sua maestà britannica, ma altrettanto memorabili sono la sua presenza in un film come Marnie di Alfred Hitchcock e l’interpretazione del saggio Guglielmo da Baskerville ne Il nome della rosa.
Ma quasi nessuno si è ricordato di Cinque giorni, un’estate (Five days one summer) ultimo film (1982) di Fred Zinnemann, il regista de Il mio corpo ti appartiene, Mezzogiorno di fuoco, Da qui all’eternità, Giulia, pellicole pluripremiate con innumerevoli Oscar.
Fred Zinnemann, nato a Vienna nel 1907 e arrivato a Hollywood nel 1929 non nascose mai la sua nostalgia per le montagne austriache, ma l’occasione per girare un film sulle Alpi arrivò molto più tardi. Lo spunto nacque dalla lettura di un racconto di Kay Boyle, Maiden Maiden, su un triangolo amoroso, che sulla pellicola si combina con una leggenda tradizionale delle Alpi austriache legata al ritrovamento su un ghiacciaio del corpo di un giovane sposo scomparso molti anni prima.
Il film non è fra i migliori di Zinnemann, ma l’ambientazione montana degli anni Trenta e le scene girate negli splendidi scenari dell’Engadina (il regista e la produzione scelsero come location la Svizzera e non l’Austria) sono assolutamente memorabili e ricostruiscono in modo fedele l’ambiente alpinistico dell’epoca.
Il merito è anche dell’ ottima direzione della fotografia, affidata a Giuseppe Rotunno. E così grazie a Zinnemann, possiamo goderci un Sean Connery che ormai cinquantaduenne calza scarponi e ramponi e munito di corda e piccozza affronta affilate creste nevose e supera pericolosi crepacci. Una cronaca dell’epoca, sul Times, precisa che l’attore non usò quasi mai uno stuntman anche nelle scene più ardite, a causa delle molte riprese ravvicinate e dei primi piani usati dal regista.
Connery interpreta il ruolo di un facoltoso medico scozzese, sposato, coinvolto in una fuga clandestina sulle Alpi con la giovane nipote. A far da terzo incomodo c’è Lambert Wilson nel ruolo della guida alpina che accompagna la coppia nelle ascensioni. Insomma, un drammone sentimental-psicologico che ha come sfondo la Val Roseg dove avvennero le riprese delle scene presso l’hotel che ospita i protagonisti. Siamo nella zona di Pontresina, in una valle laterale che si incunea verso le cime più alte del Massiccio del Bernina.
Già all’epoca l’area era compresa nel parco naturale che protegge questa zona dell’Engadina, facilmente raggiungibile con il Trenino rosso del Bernina che parte da Tirano (Valtellina) e arriva fino a Sankt Moritz. La produzione, visto il divieto di utilizzare mezzi a motore, fu costretta a trasportare tutti i materiali per costruire il set con l’aiuto dei cavalli. Ancora oggi le slitte trainate dai cavalli sono un’attrazione turistica della Val Roseg: dal parcheggio di Pontresina, vicino alla stazione e dove si deve lasciare l’auto se si arriva motorizzati, partono le escursioni che raggiungono l’Hotel Roseg, in un magnifico scenario che si allarga verso i ghiacciai al fondo della valle. In inverno è altrettanto piacevole fare l’escursione, piuttosto pianeggiante e adatta anche alle famiglie, con gli sci di fondo o anche a piedi sui sentieri battuti nella neve.
Le scene in esterno vennero girate nel villaggio di Latsch, mentre quelle in altitudine nella zona del Diavolezza e in Val Forno. Nel montaggio rientrano anche inquadrature del Pizzo Palü, Pizzo Badile, Pizzo Castello. I crediti finali del film citano anche Samedan, Sils Maria, Maloja: in pratica tutto l’altopiano engadinese fece da sfondo all’ultimo dei 18 film girati da Zinnemann che uscì in première al National Film Theatre di Londra il 23 ottobre 1982.